Reciprocità e asimmetria nella relazione Alunno-Docente
Mi sono persuaso che anche quando si pensa ad un insegnamento aperto, non trasmissivo e che si basi sull’idea che la conoscenza debba essere costruita, non si rifletta molto sul fatto che anche la relazione con gli alunni deve far parte di questa costruzione.
Cosa s’intende dire? Generalmente l’insegnante, anche quando ha grandi capacità comunicative, ha l’ atteggiamento di chi dirige e prevede le conseguenze della sua azione didattica non modificando minimamente se stesso nel dialogo con gli alunni.
Sia nell’insegnamento tradizionale sia in quello innovativo, generalmente si concepisce il primo attore della comunicazione comunque l’insegnante che indirizza il senso della conversazione verso l’alunno e dall’alunno riceve poco o nulla. Questo non perché l’alunno non risponda anche in un linguaggio non verbale, ma perché l’insegnante non è disposto a mettersi in gioco come persona in grado di accogliere empaticamente le risposte degli alunni.
Considerando i diversi piani su cui la relazione si articola, spesso il dialogo esiste sul piano intellettuale- disciplinare ma è a senso unico per quanto riguarda altri aspetti.
Spesso solo l’alunno ascolta e rivede le proprie convinzioni essendo coinvolto anche emotivamente dal lavoro in classe. Il processo di revisione dei propri pensieri e il coinvolgimento emotivo profondo riguarda difficilmente l’insegnante. C’è alla base di questo atteggiamento un’idea di controllo del processo d’insegnamento in ogni particolare che assomiglia a quello che in psicoanalisi viene identificato come il pensiero oggettivo dell’analista. Scrive Hoffmann, esponente della corrente psicoanalitica relazionale : “….fa parte dell’idea oggettivista che, in linea di principio, l’analista possa scoprire con precisione dove finiscono il suo contributo e l’effetto dell’interazione attuale. Al contrario vedere il transfert e il controtransfert in una relazione dialettica crea una zona d’irriducibile ambiguità e indeterminatezza circa la natura della loro interazione e della loro influenza, una zona che è spesso aperta a molteplici costruzioni interpretative”. Prevale quindi solitamente un atteggiamento di controllo della dinamica relazionale che impedisce gli effetti di ritorno e ciò ha come conseguenza la mancanza di riflessione critica su stessi e sull’insegnamento che si sta attuando.
L’alunno inascoltato emotivamente, può vivere il rapporto con l’insegnante come una gabbia magari comoda e “illuminata” ma in cui si sente solo.
Essere un insegnante credo significhi accettare la sfida che comporta mettere in gioco se stessi nella relazione con gli alunni sentendo gli stati emotivi, entrando in un rapporto dialettico che tenga conto anche del piano non verbale della comunicazione. Occorre che l’insegnante risponda e che risponda in modo autentico. La chiave di volta è, a mio avviso, proprio l’autenticità della risposta dell’insegnante. Per la mia esperienza, una risposta che sveli la realtà affettiva dell’insegnante non ha effetti negativi sugli alunni, ma li coinvolge nel lavoro avviando efficacemente il processo di costruzione della conoscenza. Il doppio binario della comunicazione è solo apparente; in realtà la “sincerità” con cui si mostra l’insegnante ha un effetto immediato sul versante dell’interesse alla disciplina.
Se accettiamo la definizione di costruttivismo di Jones il quale dice che “… la concezione secondo la quale ciò di cui facciamo esperienza non è un mondo totalmente indipendente da noi, ma un mondo al quale l’attività della mente attribuisce determinate caratteristiche”, possiamo dire che il mondo fatto di conoscenze che costruiamo a scuola ha bisogno del senso che deriva non solo dai significati oggettivi degli argomenti trattati, ma anche dal valore affettivo che noi attribuiamo loro. E qui è fondamentale che i temi oggetto di studio siano realmente comprensibili per gli alunni, perché altrimenti il tutto si risolve in un grande tradimento di fiducia!
Il rapporto autentico e di fiducia è comunque diverso perché il rapporto fra alunno e docente è per sua natura asimmetrico per età e ruolo. E’ fondamentale che rimanga tale altrimenti non è possibile nessuna azione didattica positiva (nelle classi si genererebbe il caos). Ci dovrebbe essere una costante dialettica tra la percezione che l’alunno ha dell’insegnante come persona simile a lui, e la sua percezione dell’insegnante come persona che ha un grado superiore di conoscenza, di saggezza e di giudizio. E’ difficile per l’insegnante giocare a carte scoperte dal punto di vista della disponibilità emotiva e mantenere costantemente il timone dell’insegnamento. Sono di grande aiuto in questo senso i riti dell’insegnamento (l’interrogazione, i compiti, il registro, la cattedra) e soprattutto la passione per la disciplina che s’insegna. Questa passione deve circolare fra gli alunni come segno del nostro amore per loro.